
Le piccole-grandi serie che ci hanno lasciato il segno
Certe serie non si dimenticano.
Non importa quanti anni siano passati, basta un’immagine, una sigla, una battuta… e subito tornano alla mente, nitide, come se le avessimo viste ieri.
Sono quelle serie dell’infanzia che abbiamo amato alla follia.
Quelle che ci sembravano infinite, con trame che andavano avanti per stagioni intere – o almeno, così ci pareva.
Ogni episodio era un’avventura nuova, un piccolo evento.
Eppure, a guardare i numeri oggi, la realtà è molto diversa: molte di quelle serie avevano pochissimi episodi.
Basta pensare a serie come:
Pippi Calzelunghe, la bambina ribelle con le trecce rosse e la forza sovrumana, è rimasta nei cuori di intere generazioni. Ma la sua versione originale, quella del 1969, conta appena 13 episodi.
Scooby-Doo, Where Are You!, la prima serie con la gang della Mystery Machine, è stata trasmessa tra il 1969 e il 1970 con solo 19 episodi totali (13 nel primo anno, altri 6 l’anno dopo).
E poi c’è lui, Mr. Bean, il personaggio assurdo e geniale di Rowan Atkinson. Una vera icona della comicità visiva. Eppure la serie originale è composta da soli 8 episodi principali, trasmessi tra il 1990 e il 1995.
Numeri che oggi sembrano ridicoli, soprattutto in confronto alle stagioni da 20-30 puntate delle serie contemporanee. E allora, perché le ricordiamo come interminabili?
Una questione di percezione (e di palinsesto)
La risposta è un mix interessante di fattori. Primo tra tutti: la percezione del tempo da bambini è completamente diversa.
Quello che oggi ci sembra un attimo, da piccoli era un’attesa infinita.
Una settimana tra una puntata e l’altra poteva sembrare un’eternità.
Poi c’erano le repliche continue. Le stesse puntate venivano trasmesse più e più volte durante l’anno, spesso fuori ordine, magari anche su canali diversi.
Così, quelle poche puntate diventavano parte della nostra quotidianità. Accendevi la TV e trovavi di nuovo Scooby-Doo o Pippi, e ti sembrava sempre una nuova avventura, anche se in fondo la conoscevi a memoria.
Infine, c’è un aspetto più profondo: la ripetizione rafforza la memoria. Più volte vediamo (o viviamo) qualcosa, più diventa significativo per noi. Quelle storie, riviste mille volte, si sono sedimentate dentro di noi. E nella nostra mente sono cresciute, amplificate, trasformate in qualcosa di più grande della somma delle loro parti.
Alla fine, non erano lunghe. Erano vissute con intensità.
E forse è proprio questo che le ha rese così speciali: non la quantità di episodi, ma quanto spesso sono entrate nella nostra quotidianità.
Una manciata di storie che abbiamo visto decine di volte, che conosciamo quasi a memoria… e che, proprio per questo, non abbiamo mai smesso di amare.