L’emancipazione della donna nel costume: Il reggiseno
Come oggi, ma del 1914, veniva ufficialmente brevettato, per mano di Mary Phelps Jacob, il reggiseno moderno, che aveva il pregio di separare i seni senza schiacciarli: accessorio che ha seguito l’evoluzione del costume della donna nella società, considerando pure i diversi modi di vedere il corpo della donna.
Nonostante la maternità del capo venga riconosciuta all’attivista newyorkese, si dice che nel 1907 la rivista Vogue sia stata la prima ad utilizzare la parola “reggiseno” e che molti altri ne attribuiscano la creazione alla francese Madame Herminie Cadolle, che all’Esposizione Universale di Parigi del 1889 avrebbe presentato un corsetto tagliato a metà chiamato soutien-gorge.
Reggiseni o indumenti simili a bikini appaiono dipinti su alcune atlete del XIV secolo a.C. nell’era della civiltà minoica ed anche in Italia esiste un mosaico molto famoso, presso la villa del Casale di Piazza Armerina otto ragazze in bikini, datato tra il 320 e 370 .
Qualche misura di enfasi sulla forma del (futuro) reggiseno può farsi risalire alla Grecia, in cui si poteva indossare una fascia di pelle “tipo corsetto” per dare definizione a fianchi e busto sotto al cintone.
Nel rinascimento il décolleté divenne di gran moda. Avere seni sodi era una sorta di distinzione sociale per le donne agiate, che non allattavano al seno. Si usava delegare l’allattamento alle balie per mantenere una forma fisica ideale.
Le donne hanno usato una quantità di indumenti e congegni per coprire, trattenere, rivelare o modificare l’aspetto del seno. A partire dal XIV secolo la biancheria intima delle donne occidentali più agiate è stata dominata dal corsetto, che spingeva il seno verso l’alto.
Il corsetto è l’antenato del reggiseno più conosciuto, comprimeva il petto sollevandolo nella scollatura e stringeva il busto fino a togliere il respiro, per rendere il corpo della donna il più possibile simile a una clessidra.
L’evoluzione del reggiseno dal corsetto fu conseguenza di due movimenti paralleli: le preoccupazioni degli operatori sanitari per gli effetti crudelmente oppressivi del corsetto (i medici che lanciavano l’allarme additavano nausea, disturbi intestinali, disordini alimentari, insufficienza respiratoria, rossore, svenimenti e problemi ginecologici), ed il movimento femminista di riforma nell’abbigliamento, il quale comprendeva che la maggior partecipazione sociale delle donne presupponeva l’affrancamento dai corsetti.
L’interesse delle donne per l’attività sportiva, in particolare il ciclismo, impose un ripensamento, e i gruppi femminili reclamarono “vestiario di emancipazione”. Nel 1874 Elizabeth Stuart Phelps Ward invitò le donne a bruciare i corsetti. Direttamente ed indirettamente, lo sport rendeva più forti le donne in altri ambienti sociali.
Non deve sorprendere che i fabbricanti di corsetti cercassero di difendersi: la pubblicità fece ricorso ad immagini con implicazioni erotiche, anche se in pratica agivano come deterrente alla sessualità e anche le bambole assunsero la linea del corpo stretto nel corsetto, per imprimere l’immagine della forma “ideale” di donna, ma la rivoluzione sociale era già in atto.
Da quel momento i reggiseni rimpiazzarono i corsetti; produzione e vendita di reggiseni sono divenute attività multimilionarie. Nel corso del tempo, l’attenzione dedicata al reggiseno si è spostata ampiamente dalla funzionalità alla moda.
Il progetto dell’indumento intimo era molto semplice: due comuni fazzoletti uniti da nastri di raso rosa che si adattavano perfettamente all’anatomia del corpo femminile.
Nell’ottobre 1932 la S.H. Camp and Company associò la misura e la “pesantezza” del seno femminile a lettere dell’alfabeto: A, B, C e D. La pubblicità di Camp inserì i profili di seno contrassegnati da lettere nel numero di febbraio 1933 di Corset and Underwear Review. Nel 1937 Warner iniziò ad inserire nei suoi prodotti la misura di coppa. Negli anni 1930 furono introdotte le bande aggiustabili con posizioni multiple di occhiello e gancetto.
Il reggiseno resta il simbolo di una femminilità che si declina sia con la sua presenza (visibile o meno), sia con un’assenza che non perde la sfumatura politica: in un recente sondaggio sulla lingerie che ha coinvolto donne tra i 20 e i 45 anni, ha registrato un buon 7% di italiane che sceglie la tendenza “no bra”, senza reggiseno. E gli hashtag #nobra e #nobranoproblem su Instagram fotografano una tendenza sempre più presente, quotidiana o saltuaria, che preferisce lasciare il seno a se stesso senza stringerlo. Di fronte al gesto liberatorio di ogni fine giornata, quando si sgancia la gabbia di lacci e spalline del reggiseno, viene facile comprendere perché il movimento #nobra abbia così successo.
Da quei nastri intrecciati e tenuti insieme con un po’ di filo alle ricerche ingegneristiche degli ultimi anni, che hanno portato a una varietà di modelli (con o senza ferretto, reggiseni a balconcino, senza cuciture, push-up, reggiseno a fascia senza spalline, in pizzo o materiale tecnico), sono passati anni, tecnologie e storia sociale. Anche se oggi il reggiseno si porta per quello che è, ovvero un capo di abbigliamento che si coordina al look in base ad un gusto personale inscritto in un cerchio di indicazioni di massima, rimane un simbolo della scelta di libertà personale.